Onorevoli Colleghi! - La storia del nostro Paese è caratterizzata dallo sviluppo e dall'autonomia delle città. Già al tempo della repubblica e dell'impero romano molte città italiane erano autentiche città-stato dotate di autogoverno, pur nell'appartenenza a Roma, di cui godevano la cittadinanza. Dopo la parentesi del tardo impero e dell'età gotica, l'invasione longobarda, creando vari ducati, tra cui due semi-indipendenti (Spoleto e Benevento), ridiede funzione di capitale alle principali città che in epoca feudale divennero sede di vescovadi e contee, e in età comunale si trasformarono in liberi comuni.
      Se nel sud la formazione dei regni di Napoli e Sicilia favorì lo sviluppo di due grandi capitali, Napoli e Palermo, nell'Italia centro-settentrionale si vennero formando signorie e principati destinati a diventare, durante il Rinascimento, centri politici e, soprattutto, culturali di primo ordine. Attorno ad essi si raccolsero scrittori, artisti e si crearono corti ed accademie di grande importanza. Alcune di queste città capitali coincidono con i capoluoghi di regione: Venezia, Genova, Torino, Milano, Firenze, la stessa Bologna, capitale culturale anche se non politica; altre, invece, sono ora capoluoghi di provincia e, se non si interviene sollecitamente, rischiano di essere ridotte ad una monotona vita provinciale, lasciando, così, in stato di abbandono innumerevoli tesori artistici, librari, archivistici, che costituiscono la più autentica ricchezza del nostro Paese. Paradossalmente, la maggiore autonomia data alle regioni rischia di annegare definitivamente tali città in un anonimato senza prospettive future.
      Per certi aspetti, una sorte migliore tocca a tre città capitali nel Medioevo perché sono state, e sono tuttora, sedi di prestigiose università: Pisa, Padova e Pavia. Le città cosiddette «a rischio», cui ci riferiamo, sono Mantova, Parma, Modena, Ferrara, Lucca, Siena, Pesaro ed Urbino.

 

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Tra queste, Parma, Modena e Lucca persero la loro indipendenza solo alla vigilia dell'Unità d'Italia. Vale la pena ricordare il ruolo che esse ebbero in tempi relativamente recenti, durante l'età dell'Illuminismo e del Risorgimento. Non credo necessario descrivere i beni culturali conservati in queste antiche capitali, né come l'attuale situazione le mortifichi sul piano culturale e rischi di compromettere definitivamente la loro conservazione. È necessario anche tenere presente che tali beni sono divisi tra musei, biblioteche, archivi statali e strutture ecclesiastiche e private, spesso non coordinati tra loro e non sufficientemente aiutati e tutelati dalle autorità. Basterebbe pensare a preziosi fondi librari e museali, sottratti ai conventi, in mille modi, ed ora tenuti, perché sarebbe improprio dire conservati, presso scuole ed istituti di vario ordine e grado.
      Né migliore conservazione e sorte hanno avuto le grandi tradizioni musicali che alcune di queste città hanno valorizzato in modo assolutamente eccezionale nei secoli passati. Si pensi, in particolare, a Parma, Pesaro e Lucca con Verdi, Rossini, Puccini, oltre a tanti altri musicisti di chiara fama.
      Per tutti questi motivi, è urgente una legge quadro che intervenga a riconoscere i valori peculiari di queste città, evitando la loro riduzione a centri minori, nell'ambito delle rispettive regioni di appartenenza, iniziando così una politica culturale a vasto raggio che si estenda poi a tutti gli altri centri, anche non capoluoghi di provincia, che abbiano avuto ruoli storici in campo civile o religioso. Per il raggiungimento di tali finalità è stata predisposta la presente proposta di legge, della quale si auspica la rapida approvazione.
 

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